In questa recensione di Metro Exodus scopriamo che la saga ideata da Dmitry Glukhovsky si estende ben oltre Mosca, percorrendo tutta la Russia.
L’inverno russo è stato responsabile della sconfitta delle truppe di Hitle o Napoleone, e qualcosa di molto peggiore, l’inverno nucleare, ha costretto invece gli abitanti di Mosca a trovare rifugio nei tunnel della metropolitana. Così lo racconta Dmitry Glukhovsky nella sua eccezionale saga di romanzi sci-fi (iniziata con Metro 2033) e questa è la storia che troviamo anche nei videogiochi sviluppati da 4A Games (Metro 2033, Metro Last night e le versioni Redux, rimasterizzate per PlayStation 4 e Xbox One).
Ma Metro Exodus rappresenta un enorme balzo in avanti rispetto a quei “shooter” in prima persona. Un’evoluzione sotto ogni aspetto: lo studio ucraino 4A Games ha fondato una nuova sede a Malta e ha duplicato il numero di lavoratori coinvolti nel progetto. L’editore Deep Silver ha inoltre concesso loro tutto il tempo necessario a portare a termine il loro progetto più ambizioso, e la metropolitana è diventata troppo piccola per i protagonisti della saga, che finalmente vedono la superficie.
Questa volta ci imbarchiamo in un’avventura che ripercorre tutta la Russia, con scenari aperti (tranquilli, ci saranno anche zone claustrofobiche come nei precedenti capitoli) e per un intero anno. Un conto alla rovescia che segna il ritmo della vita di Artyom, sua moglie Anna e gli altri spartan alla ricerca di un nuovo luogo in cui vivere.
Metro Exodus ha un approccio poco abituale. È un caso simile a quello che abbiamo vissuto con la saga Wolfenstein. In un’epoca in cui si impone la modalità multi giocatore (al punto che le modalità storia sono per lo più aneddotiche, come in Battlefield V o del tutto assenti come in Call of Duty Black Ops 4) ci troviamo davanti a un gioco per un solo giocatore che conta solo sulla modalità storia… E che storia!
Una storia di vita o morte
Per la maggior parte del gioco siamo parte dell’equipaggio del treno Aurora (così battezzato per via della crociera russa o la dea romana dell’alba): un’antica locomotiva a vapore che attraversa il paese alla ricerca di un luogo abitabile. Da quando il silenzio radio a Mosca è stato infranto, attraversiamo il Volga in inverno, il bunker di Yamantau a primavera, il mar Caspio d’estate, la città gelata di Novosibirsk e tante altre località. Ognuna di queste ambientazioni viene presentata come un livello aperto. In alcuni casi con mappe in stile sandbox, quindi potremmo muoverci liberamente anche con furgoni o barche a remi.
La narrativa è uno dei punti di forza del gioco, e questo si vede sia nel ritmo (le parti action si alternano con dialoghi e sequenze nell’Aurora, che ci aiutano a conoscere i personaggi e percepire la loro evoluzione) così come nella presentazione di ogni livello. Dall’inizio ci è chiaro che siamo in una situazione limite: il mondo è un posto molto pericoloso, e Artyom rischia la vita ogni volta che esce dal rifugio. Perciò ogni obiettivo sarà questione di vita o morte.
Lo sviluppatore ha chiesto specificamente di evitare spoiler della trama durante la recensione, quindi ci limiteremo a dire che uno dei compiti di Artyom offre cambiamenti alla modalità di gioco. A volte sarà premiato un approccio slealtà, altre volte ci troveremo in situazioni in cui non avremmo altra scelta che cominciare a sparare, e altre volte la parte importante sarà l’esplorazione. In ogni caso, prima di mettere piede all’esterno è necessario pianificare le nostre mosse.
Sopravvivenza e infiltrazione
Non è una cosa da prendere alla leggera, perché Metro Exodus ha molte caratteristiche da Survival. Per iniziare, non abbiamo un HUD a schermo che indichi i punti vita rimasti, ne dove dobbiamo andare. Tutto è basato su elementi integrati; vale a dire, per trovare una direzione dobbiamo consultare la mappa e la bussola. Per conoscere il livello di radiazioni nell’ambiente dobbiamo guardare il rilevatore Geiger che abbiamo al polso, e quando vedremo che facciamo fatica a respirare, dobbiamo indossare la maschera antigas.
Un altro aspetto preso dai survival è la ricerca di risorse e la costruzione di equipaggiamento. Le munizioni sono scarse dopo l’apocalisse, e inoltre le armi richiedono una manutenzione speciale. Metro Exodus offre due possibilità di crafting. Possiamo toglierci lo zaino per elaborare risorse d’emergenza (medikit, munizione e filtri per la maschera) in qualsiasi posto o fermarci a un banco da lavoro per pulire le nostre armi, modificarle e migliorare le nostre protezioni. Tutti gli elementi sono composti da due diversi tipi di materiali: meccanico o chimico, che troviamo seminati negli scenari.
Anche l’infiltrazione è una delle colonne portanti dell’ultimo capitolo della serie Metro. È sempre preferibile finire un nemico senza fare troppo clamore, e per farlo abbiamo diverse opzioni. Possiamo avvicinarci alle spalle e scegliere tra l’ucciderli o lasciarli senza sensi (non prendetelo alla leggera, c’è un sistema di karma che punisce se siamo troppo selvaggi). Ma non finisce lì, dato che possiamo aggiungere silenziatori alle nostre armi (da fuoco o pneumatiche) o usare balestre e coltelli da lancio per attaccare a distanza. I nemici usano il suono e la luce per identificarci, quindi non sarebbe un’idea folle spegnere i falò e le luci varie quando passiamo.
La ciliegina sulla torta di questo sistema stealth è rappresentato dal ciclo giorno/notte dinamico. Siamo noi a scegliere se è meglio attraversare una zona durante il giorno, con pochi mostri ma più facilmente individuabili dagli umani o, invece, rischiare di uscire la notte quando è più difficile essere visti, ma la “fauna” è molto più pericolosa. Come possiamo vedere, niente è stato dato per scontato nel gioco di 4A Games, perché a tutto questo dobbiamo aggiungere che alcune creature sono sensibili alla luce, e ci viene permesso di usare una torcia come arma.
A questo punto sarà ormai chiaro che Artyom ha più possibilità che mai, e che gli scenari ci sottoporranno ad una prova costante. Ma dobbiamo segnalare che alcune mappe ci sono sembrate un po’ vuote, senza molto da fare oltre alle missioni principali. Sulla carta, Metro Exodus appare molto aperto, ma nella pratica ci sono diverse sequenze scriptate e lo sviluppo è più lineare di quanto ci venga promesso. Ma per via del coinvolgimento della trama e dei personaggi non è un fattore che risulti determinante.
Tecnica post nucleare
L’ambientazione postnucleare di Metro Exodus non sarebbe così efficace se non fosse accompagnata da uno stupendo comparto tecnico. Gli scenari sono grandi, ma ricchi di dettagli (dal deserto intorno alle piattaforme petrolifere del mar Caspio a fitti boschi) e sono alla mercé di diversi effetti climatici: tempeste di sabbia, neve, pioggia… Un comparto visivo molto solido, con momenti brillati e un uso spettacolare dell’illuminazione.
L’altra faccia della moneta è rappresentata dall’intelligenza artificiale di alcuni nemici e il feedback di alcune armi. Anche se ci è piaciuto il sistema di puntamento e la possibilità di personalizzare le armi, abbiamo avuto l’impressione che una parte dell’arsenale (come ad esempio la balestra) sono estremamente curati, mentre altri fucili sembrano troppo generici. E questo scompenso si nota anche negli effetti che causano. Un coltello da lancio può essere più efficiente di un arma di grosso calibro.
Ma tutto questo conta poco. Chi intraprende l’avventura di Metro Exodus lo fa per conoscere la storia di Artyom, Anna, il Colonnello Miller e gli altri superstiti. Per emozionarsi coi piccoli successi dell’equipaggio e per sentirsi in imminente pericolo quando ci si trova circondati da ragni giganti o inseguito da orde di cannibali. Per farci venire i brividi mentre attraversiamo una strada innevata, accompagnati da una colonna sonora eccelsa e per afferrarsi alla speranza, come i personaggi del gioco, mentre percorriamo i vagoni del treno Aurora parlando con questo carismatico gruppo di superstiti.
Lo abbiamo già detto all’inizio. Quella di Metro è una messa in scena straordinaria, per molti versi. Non è normale trovare un FPS che metta così tanta importanza sulla narrativa, come non è nemmeno abituale che un gioco cult creato da un piccolo studio ucraino e basato su romanzi di fantascienza si ritrovi ad essere uno dei progetti più grandi dell’anno.