Recensione di The Division 2. Il nuovo re dei Loot Shooters.
Gli FPS multiplayer sono di moda, ma non tutti riescono con la stessa fortuna. Ubisoft dimostra con questo nuovo capitolo che sa come si affronta il genere, e porta nei negozi la proposta più completa che abbiamo finora visto in questo campo. Recensione di The Division 2, un gioco su cui spendere centinaia di ore.
Come affrontare la recensione di un loot shooter è uno dei tradizionali cavalli di battaglia della critica moderna dei videogiochi. Occorre tenere unicamente conto di ciò che offre il gioco al momento del lancio? O bisogna valutare anche ciò che il gioco diventerà? Noi scommettiamo sul valutare il gioco nel momento in cui viene lanciato, ma sempre tenendo un po’ a mente ciò che è l’orizzonte di contenuti proposto per ampliare l’esperienza. Ma ciò che conta, almeno subito, è ciò su cui possiamo mettere le mani. Quindi, purtroppo per gli utenti che sostengono che questi giochi vanno recensiti quando sono già ben avviati, ignorando quindi completamente la gente che ancora non sa se prenderlo o meno, noi procediamo a valutare ciò che il gioco è adesso. La buona notizia è che The Division 2 arriva già al day one senza concessioni, senza nascondere nulla e con tutta la carne al fuoco.
Non è solo giusto verso gli utenti, ma è d’esempio anche per gli altri sviluppatori. Il shooter Ubisoft indica un cammino per gli altri su ciò che vuol dire lanciare un prodotto senza afferrarsi al futuro per giustificarne l’esistenza, ma basandosi invece su solidi pilastri in un presente in cui, in questo caso, c’è poco da recriminare. Non solo perché arriva pieno zeppo di contenuti, ma anche perché tutto quello che offre è ben equilibrato, profondamente pensato e dimostra che ascoltare la community (se lo si fa a modo e in fattori ben precisi) può portare risultati fantastici agli studi di sviluppo. La base del primo The Division era già fantastica, ci era piaciuta molto, e anche se la seconda parte perde il fattore sorpresa, lo compensa avendo imparato tutto ciò che Ubisoft ha potuto estrarre dal dilatato e numeroso supporto post lancio del primo capitolo.
Ovviamente The Division 2 non ti piacerà se non ti divertono gli shooter multiplayer orientati ad ottenere bottino e collaborare con amici. Ma funziona perfettamente per due tipi di pubblico. Da una parte è idoneo per il fan dei loot shooter che ama un’esperienza un po’ più tattica rispetto ai soliti ritmi frenetici, e inoltre è totalmente consigliato anche per chi voglia addentrarsi per la prima volta nel genere. Potrà trovare davvero poche proposte migliori di questa.
L’ultima speranza
Parafrasando Clint Eastwood in Il Buono il Brutto e il Cattivo, ci sono due tipi di loot shooter, quelli che danno importanza alla trama e quelli che no. Abbiamo assistito recentemente al lancio di Anthem che presentava un universo ricco ed affascinante, ma che falliva clamorosamente nella messa in scena: per la sovresposizione e per essersi incentrati in uno sviluppo con minore interesse e dinamismo di quanto ci si aspettava in una proposta con quelle caratteristiche. Destiny invece è sempre stato criticato per il modo di andare in scena, con un ritmo molto migliore rispetto al gioco Bioware, ma con poca profondità e parecchia pigrizia nell’esplorare una mitologia che poteva rendere molto di più.
Che posizione prende The Division 2 in questo modo di esporre la narrativa? In quella di non disturbare, letteralmente. Quasi tutto ciò che fa avanzare la storia ci viene riferito tramite messaggi radio che possiamo ascoltare mentre ci spostiamo, e che sono di relativa importanza, mentre se assistiamo a una sequenza cinematica dobbiamo prestare tutta la nostra attenzione perché sono molto puntuali e sono lì perché in quel momento riceveremo un’informazione davvero importante. Per il resto il titolo ci permette di approfondire quanto vogliamo noi, e per farlo dissemina in tutto l’universo cose da trovare per ampliarlo. Che siano gli echo, che offrono piccole pillole basate su gente comune di Washington DC, o tutte le informazioni che possiamo raccogliere esplorando il mondo e che molto spesso non sono verbali.
Alla fine, come di certo saprai, il gioco è ambientato nella capitale degli Stati Uniti e le zone limitrofe, e il famoso virus che ha messo a soqquadro il mondo che conosciamo ha lasciato la sua impronta nella città. L’ha fatta diventare una città fantasma in cui solo i più audaci si azzardano ad addentrarsi e che presenta diverse fazioni di paramilitari combattendo per controllarla. Noi formiamo parte de “La Divisione” che dà il nome al gioco, e dobbiamo collaborare per ristabilire l’ordine.
Questa volta, molto più rispetto al primo capitolo, il gioco fa un ottimo lavoro per farci sentire che davvero stiamo contribuendo nell’impresa. E lo fa in diversi modi. Per esempio, siamo più coinvolti nella ricostruzione e ci permetter di contribuire ad essa in un modo più diretto: ad esempio portando i materiali necessari ai leader delle diverse aree o liberando avamposti per farli passare alla nostra fazione. Alla fine ci sono molte cose da fare tra una missione e l’altra, e tutto sembra orientato a stimolare il nostro interesse a percorrere ogni angolo della mappa e completare le diverse attività a nostra disposizione. Tutto questo con una rappresentazione molto grafica che aiuta a consolidare la sensazione di star collaborando, lo vediamo coi nostri uomini e questi ci aiutano, ma porta anche diversi vantaggi che ci rendono la vita un po’ più facile come descriveremo più avanti nella sezione dedicata ai progressi.
Le missioni danno un’impressione generalmente positiva. Da una parte non possiamo negare che gli obiettivi siano ripetitivi e per nulla innovativi. Lo puoi camuffare come vuoi, ma la maggior parte degli incarichi consistono nel liberare X zona dai nemici presenti. Non ci sono grosse complicazioni. Ci saranno momenti in cui cambieremo il ruolo offensivo per il difensivo, boss finali che varieranno lievemente la dinamica di gioco, e siamo grati di questi momenti, ma non ci stancheremo mai di chiedere agli sviluppatori di creare situazioni più diversificate pur senza discostarsi troppo dagli obiettivi.
Come fa allora il gioco a proporre qualcosa di positivo in grado di rimediare alla ripetitività? Con un maestoso design degli scenari. Di, tutto gira intorno allo stesso perno, ma i percorsi riescono ad apportare un’importante sensazione di freschezza, e lo fanno in due modi. La prima perché sono mappe con una grande personalità. Una delle cose che amiamo maggiormente della serie The Division è il fatto che non abbia tempi di caricamento tra le zone. Tutto appare come qualcosa di organico e vivo, e questo aspetto ha un grande valore per ottenere un’enorme immersione in un luogo così affascinante. Ubisoft ha fatto un grandissimo lavoro per farci sentire voglia di scoprire cosa ci aspetta nella prossima missione e a quale altro impressionante luogo ci porterà.
Armi pronte
Uno degli aspetti che maggiormente hanno convinto del primo The Division è stata la cura del sistema di combattimento. La seconda parte, come ci aspettavamo, non scherza, e non centra i propri sforzi a modificare ciò che funzionava perfettamente, al contrario. Ci si appoggia e costruisce dalle stesse basi. Che vuol dire? Che parliamo sempre di un’esperienza molto tattica, una che cuoce a fuoco lento e in cui ci sono momenti per la frenesia, ma in cui troviamo sequenza d’azione in cui importa di più dove ci posizioniamo, che tipo di copertura utilizziamo e quando crediamo sia il momento idoneo per spuntare e sparare.
Rispetto ad altri shooter della stessa categoria sul mercato, The Division 2 è il più lento e ponderato tra i presenti. Non essere circondato, controllare superiorità numeriche del nemico e potenziare le sinergie di abilità e armi sono elementi critici per andare avanti. E, ovviamente, sapere di cosa siamo capaci e di cosa no. Per ampliare i nostri orizzonti è sempre conveniente in The Division 2 avere un buon gruppo di amici o un clan con gente molto disponibile, il gioco infatti è molto più divertente se giocato in compagnia.
Molte persone hanno chiesto se sia possibile giocare questo gioco in solitario. Si può, nel senso stretto del termine, dato che il gioco è abbastanza benevolo nelle prime ore coi lupi solitari. Infatti alcune sensazioni di solitudine e isolamento davanti ai nemici sono molto ben riuscite, e questo, unito all’esplorazione di Washington (che è sempre molto curata) fa sì che ci siano poche cose come godere della giocabilità in compagnia. Ma, e come dettaglieremo più avanti, quando cominciamo a spendere tempo nel gioco e nella proposta o ad aumentare la difficoltà ci renderemo conto che la collaborazione è tremendamente necessaria, e lo è anche usare al meglio il nostro arsenale e le nostre abilità.
Usare le armi non è preciso come ci si aspettava in un titolo in cui tutto ruota intorno all’uso di esse. Ma, se in questo senso il gioco è conservatore, rischia molto di più nel rendere i nostri nemici qualcosa in più che semplici spugne per proiettili. È ancora facile vedere occasionali errori in alcune delle unità più basiche, manovre un po’ stupide che li invitano ad abbandonare una copertura prima del tempo o che li porta ad essere a volte così aggressivi da diventare quasi dei kamikaze. Ma, quando funzionano in gruppo di solito sono una macchina ben oliata e ad usare meccanismi molto avanzati di attacco. È nella norma trovare un nemico che spara fuoco di copertura verso di noi mentre i suoi compagni cercano di circondarci, per esempio. O autentiche valanghe di unità forti nel corpo a corpo che cercano il nostro punto debole quando è più esposto.
Come sempre in questi casi, chi vorrà distruggere il gioco sui social network mostrando le inefficienze della IA avrà modo di farlo perché ogni tanto commette errori molto grossolani. Ma la maggior parte delle sue azioni rappresenteranno una sfida, specialmente quando scegliamo i livelli di difficoltà più alti, e aiutano a farci sentire in un mondo senza scrupoli come quello rappresentato dal gioco.
Le mappe sono più complesse e verticale rispetto al primo capitolo e ci sono sezioni impressionanti e disruptive che ci aiuteranno a sorvolare sulla sensazione di monotonia che, per il resto, è impossibile sentire quando abbiamo alle spalle centinaia di ore sul gioco. Per esempio, c’è una sequenza in un laboratorio piccolo e stretto in cui due nemici molto potenti, imbottiti in un’armatura pesante, corrono dietro di noi con martelli in mano, costringendoci a fuggire a tutta velocità facendo parkour mentre rompiamo le loro difese. In un’altra sequenza, un’enorme sala rimane completamente al buio, si sente una grande esplosione e compare un grande boss dal tetto, avvolto dalle fiamme mentre lancia letali granate dal tetto. Ci sono molti bei momenti come questi che rompono la monotonia del primo gioco, ma alla fine tutto si riduce nel catturare e difendere zone, interagire con macchinari e ripulire zone da nemici, e alla fine finiamo col voler fare ciò che siamo venuti a fare: prepararci per portare a termine missioni difficili.
Progressione, bottini e ricompense
Come in ogni RPG che si rispetti, The Division 2 ha un sistema di livelli che accompagna i nostri progressi in Washington DC. Anche se a grandi linee parliamo di un titolo parecchio aperto e permissivo quando si parla di fare ciò che vogliamo, Ubisoft dosifica le missioni e le armi a cui possiamo accedere tra il livello 1 e il 30. Il gioco quindi offre la possibilità di andare dove vuoi dal primo minuto (anzi, ti premia se scopri nuove zone), ma ci sono anche nemici perennemente di pattuglia che ti faranno a pezzi se non sei ben preparato.
Potrebbe suonare frustrante, ma in realtà è uno degli aspetti più positivi del gioco: la campagna non è fatta per essere presa alla leggera e propone una dinamica più serie e riflessiva. Non c’è una trama intrusiva che interrompa il gioco costantemente, non ci sono molte sequenze cinematiche e quelle che ci sono possono essere saltate. Non ci costringe a seguire il corso della storia artificialmente, ma si a scoprire il gioco poco a poco, ad apprezzare ogni nuova dose di contenuti che sblocchiamo giocando, ad assaporare al meglio quelli che abbiamo a nostra disposizione. E non siamo noi a dirlo, gli sviluppatori hanno confessato che The Division 2 è concepito in modo da non poter arrivare al livello 30 se ci si limita a completare la storia.
In realtà noi non lo vediamo come un fattore necessariamente negativo. La scarsità di PE e la quantità di cose che sblocchiamo quando saliamo di livello incitano a partecipare ad ogni fortezza, missione secondaria ed evento casuale che scopriamo durante i nostri viaggi, e nel farlo il gioco ci ricompensa con nuovi bottini costantemente, oltre a un po’ di EXP. Ci sono solo 7 tipi d’arma, e non ce ne sono di particolarmente immaginative, per rimanere nel mood realistico del gioco per quanto riguarda arsenale e gadget. Ciò che appare chiaro è che man mano che progrediamo nel gioco, avremo accesso ad una grande varietà di abilità, vantaggi e possibilità di personalizzazione che compensano in buona parte le limitazioni che l’arsenale mostra ad un primo sguardo.
Fin dalle prime ore noteremo che The Division 2 è un gioco parecchio generoso coi bottini. Non è raro trovare nemici che lasciano due o più pezzi d’equipaggiamento, materiali e mod per il nostro inventario, e anche se sono casuali, il gioco si accerta che otteniamo alternative migliori e più interessanti in pochi minuti. Le opzioni per migliorare, modificare e trasferire abilità da un’arma all’altra cono lì, ma durante le prime 15 – 20 ore ci limiteremo a cambiare arma per migliorare più velocemente. Non ci abitueremo a nessun’arma durante le prime ore.
Non vogliamo ingannare nessuno. Il bottino gioca un ruolo fondamentale in questo tipo di giochi, e arriva un momento in cui diventa noioso giocare sapendo che non vale la pena di modificare quell’arma così figa perché la cambieremo in 20 minuti per una superiore. La storia offre una relativa varietà di tipi d’azione determinata dall’ottima realizzazione degli scenari di cui parlavamo prima, ma per complementare il tutto il gioco offre qualche alternativa in più.
Per esempio, è presente un multiplayer competitivo. Ci sembra la parte meno ottimizzata del gioco e, sicuramente, un po’ discostante dal resto del gioco. In un mondo organico come quello di The Division 2, questa aggiunta rischia di essere fuori luogo. Di per sé non è male, ma non è nemmeno particolarmente brillante. Non ci dà nulla che non sia già stato visto migliaia di volte negli ultimi anni e, anche se lo fa in modo efficiente, il tipo d’azione del gioco non sempre appare il più indicato per un PvP dalle caratteristiche e modalità offerte. Di solito diamo il benvenuto a ogni aggiunta che viene fatta in qualsiasi gioco, ma tutto questo fattore dà l’impressione di aver potuto essere migliore e che ha ancora bisogno di qualche sistemazione negli equilibri per essere più giusto coi giocatori.
Ciò che invece brilla di luce propria ed è perfettamente integrato è la Zona Oscura. Il suo funzionamento è identico a quello del primo capitolo, anche se con qualche piccolo cambiamento qua e là. Si tratta di un’area della mappa, tre concretamente, in cui troviamo i bottini di livello superiore, ma estrarlo dalla zona fortificata ci costringerà a momenti di tensione brillanti che aiutano a rompere il ritmo pausato del resto del gioco. Le parti di countdown in cui aspettiamo che l’elicottero porti il nostro materiale in zona sicura, sapendo che tutti i giocatori della zona ci controllano e che quanto fatto in questa zona pende d’un filo, sono brillanti. E, come tante altre modalità di The Division 2, ha una propria progressione che lo rende praticamente un gioco indipendente e pieno di possibilità.
La fine è solo l’inizio
Finché non raggiungiamo il livello 30, il gioco apre zone su zone, sblocchiamo rifugi, nuove abilità e miglioriamo la Casa Bianca e altri insediamenti vicini. Ognuno ha un sistema di progressione proprio, le proprie ricompense e i propri bonus; inoltre, i punti di controllo sono costantemente combattuti tra alleati e nemici. Non avremo un momento di tregua, anche dovessimo solo uccidere nemici in diversi scenari. Si, ci sono molte cose da fare e momenti davvero potenti, ma alla fine è tutto così incentrato sul combattimento che a un certo punto possiamo solo pensare che vorremmo qualcosa di più esigente e con più possibilità. Ed è qui che entra in gioco l’endgame o i contenuti post crediti, e non possiamo parlare di questo argomento senza sfregarci le mani.
Dopo poco meno di 30 ore sommando PE, possiamo finalmente fare a meno delle etichette di livello del protagonista e del suo equipaggiamento. Sia la nostra scheda personaggio che il nostro equipaggiamento mostreranno da quel momento la potenza dell’equipaggiamento, una caratteristica implementata nel primo gioco che serve a determinare il nostro potere. Funziona proprio come in World of Warcraft, Destiny o Anthem, e se hai giocato uno di questi giochi saprai ciò che vuol dire: ora tocca spremersi le meningi e stare svegli fino a tardi per perfezionare le nostre statistiche, illudendoci con l’idea di affrontare i compiti più difficili in futuro.
Parlando a livello più tecnico, Massive dimostra di aver ascoltato attentamente le critiche e impressioni della community che ha giocato il primo capitolo e ci porta una serie di miglioramenti nella scheda personaggio. Per esempio, la polemica e tremendamente imprecisa statistica dei DPS non esiste più, quindi ci toccherà calcolare la nostra efficienza in base alla potenza e il rateo delle nostre armi. Il potere d’abilità è ancora lì, ma ora serve unicamente a sbloccare mod delle abilità (per esempio, può capitare di trovare una mod dello scudo che richieda 4.500 in potere di abilità per poter essere attivato) più o meno come la progressione di Dark Souls. Non ci sono più le abilità eccessivamente potenti che abbiamo visto nel primo The Division. Ora è tutto più legato allo sviluppo del nostro personaggio, abilità e tattica, e meno con lo sfruttamento dei punti deboli del gioco.
In effetti abbiamo potenziali slot per le mod delle armi, armature di ogni tipo e persino abilità, e abbiamo anche più alternative che mai per ottenere mod completando contratti o sfide giornaliere. Abbiano un’infinità di comodità e novità in questo senso. Puoi segnare uno sviluppo come un progetto personale e seguirne i progressi dalla Casa Bianca fino a quando non avrai ottenuto il nuovo pezzo, fabbricare armi ottenendo i pezzi e mille altre cose. Non vogliamo rovinarvi ogni sorpresa, ma vogliamo lasciare ben chiaro che è un fattore molto ben sviluppato e d’importanza capitale per quelli che vogliono giocare questo videogioco a lungo termine.
Stiamo già parlando di molte possibilità di personalizzazione, ma se ne vuoi ancora, The Division 2 rivisita il sistema di specializzazioni che conoscevamo col alcune novità. Abbiamo un quarto slot dell’arma per la parte finale del gioco, riservata a un pezzo realmente potente (lanciagranate, balestra o fucile da cecchino pesante) con possibilità uniche e munizioni molto scarse, oltre a un nuovo albero delle abilità per ciascuna. I responsabili hanno già annunciato l’arrivo di nuove specializzazioni come parte del supporto post lancio di The Division 2, che, almeno per il primo anno, è gratuito.
Cosa possiamo fare con personaggi così elaborati? Per fortuna, il finale del gioco apre le porte a un buon numero di novità. Compare per la prima volta una nuova fazione, riservata esclusivamente ai giocatori più appassionati, che mette tutto sottosopra. Oltre ai suoi incarichi, presenta anche nuove “missioni invase” che danno nuove prospettive agli obiettivi che già conoscevamo. Tutte loro hanno alcuni fattori casuali e possono essere giocate in tre difficoltà, quindi ci sono opzioni per tutti. In ogni caso, oltre alle unità standard ci sono anche alcune sorprese: medici di campo che resuscitano nemici durante l’azione, tutti i tipi di droni e persino piccoli carrarmati e robot pensati in modo da costringerci a pensare più velocemente e ad essere più efficienti (non troppo, ma quanto basta).
Ora che siamo equipaggiati meglio, la nuova fazione (denominata Black Tusk) cambierà il nostro modo di percepire la mappa. Se al primo giro ci espandevamo, ora è tutto un tavolo da guerra in cui i punti di controllo sono più importanti, e possiamo giocare un nuovo tipo di missione: Le fortezze di fazione. Porre fine all’occupazione militare di questi avversari sbloccherà una nuova categoria mondiale (World Tier in inglese) che metterà alla prova il nostro equipaggiamento e i nostri avanzamenti nel gioco. Passeranno molte ore prima di raggiungere WT4 e superare i 450 di potere equipaggiamento, anche se non ci vorrà molto prima di ricevere novità sotto forma di fortezze o persino un raid per 8 giocatori per la prima volta nella serie. Ci sono anche cacciatori (boss nascosti) che girano per la mappa offrendo maschere esclusive per chi sarà capace di risolvere gli strani rompicapi a loro associati.
Mica poco! Eppure non abbiamo menzionato tutte le cose che si possono fare nell’endgame di The Division 2. L’idea che vogliamo trasmettere è che The Division 2 ha iniziato rilasciando da subito il gioco completo. Non possiamo nascondere che altri loot shooter ci abbiano messo un po’ a carburare. Destiny, Anthem e persino il primo The Division sono arrivati sugli scaffali con problemi nel sistema di progressione o sfruttando poco i loro contenuti, e alcuni dei giochi presi come esempio ci hanno messo mesi o anni per arrivare alla qualità promessa all’inizio. Il gioco di Ubisoft Massive è l’esatto opposto. Siamo d’accordo che non porta alcuna novità epocale rispetto al primo capitolo, ma almeno è un gioco molto curato e lo crediamo in grado di fidelizzare la community per un bel po’ di tempo. Non tutto è perfetto, ovvio, ma almeno è quello con il lancio migliore della sua categoria. È un gioco che crea dipendenza, ed è un piacere vedere che Ubisoft si è sforzata di offrire ogni tipo di comodità per chi lo vede come il glorioso pozzo senza fondo di ore che è.
Zona di Guerra – Grafica e Sonoro
The Division 2 è un videogioco di contrasti. C’è stato un avanzamento visivo dal primo capitolo, è innegabile, ma forse non abbastanza da parlare di titolo di riferimento per quanto riguarda la grafica essendo passati tre anni in cui abbiamo visto referenti di questo genere raggiungere picchi più alti nel fattore estetico. Alla fine giochi che arrivano da uno sforzo collaborativo come The Division 2, che presenta un’interminabile successione di nomi di studi al lancio del gioco, soffrono di alcune irregolarità. Il maggior problema? Sicuramente i personaggi. I modelli non sono per niente male, non da far impazzire ma svolgono il loro compito se li osserviamo da una certa distanza un po’ distratti dalla frenesia della battaglia. Ciò nonostante, se prestiamo attenzione ai dettagli (specialmente ai volti) iniziamo a vedere le pecche. Ci sono anche alcune animazioni come quella del camminare e, soprattutto, quella dello sprint che potrebbero essere migliori. L’insieme appare più equilibrato perché ce ne sono altre di spostamento, di sparo o uso di coperture ad un livello decisamente superiore.
I punti di forza dello SnowDrop Engine si trovano da altre parti. Più precisamente nell’esistenza di un orizzonte lontano, dall’assenza di tempi di caricamento. Come non potrebbe essere in altro modo ci sono attese a inizio gioco (molto lunga, tra l’altro), o anche quando usiamo il viaggio rapido o abbandoniamo l’ambito prettamente PvE del gioco per passare al competitivo. Ma nelle altre parti di The Division 2 non dovremo aspettare nemmeno un momento, e costituisce un’esperienza organica e senza interruzioni che aiuta molto a non rompere in nessun momento quell’immersione massima che ci spetta in questa Washington DC decrepita e rovinosa. Questo, paragonato ad altri loot shooter che sono pieni di attese e tempi di caricamento, è un’autentica meraviglia.
Molto belli anche gli scenari, il vero punto di forza del gioco. Non solo perché, come dicevamo prima, il lavoro artistico è formidabile per dar loro un’enorme identità. Molto curato, inoltre, tutto quanto relativo alla climatologia con condizioni variabili e alcune specialmente avverse, come le tempeste, per esempio, che fanno venire i brividi.
Il Rendimento? È un po’ capriccioso su PC, con maggiori oscillazioni nel framerate di quanto ci aspettavamo. Non funziona male e non è nemmeno troppo esigente, è solo che in alcune occasioni soffre un eccesso senza un motivo apparente e questo si traduce in un framerate un po’ fluttuante, anche se sempre soddisfacente. Troviamo anche un’infinità di opzioni di configurazione su PC. Se parliamo di Xbox One e PlayStation 4, il rendimento è abbastanza ragionevole anche se coi classici tagli visivi e un popping un po’ sgradevole.
Passando all’audio, dobbiamo parlare del grande lavoro svolto dal compositore Ola Strandh con la colonna sonora. Musiche buone, molto varie ed accompagnate da un tocco elettronico che si sposa molto bene con uno shooter tecnologico come questo, ma che non rinuncia nemmeno per un momento a riempire di schitarrate alcuni dei momenti di maggior frenesia nell’azione. Gli effetti sonori sono molto curati, dai rumorosi spari che mostrano le logiche differenze tra gli ambienti esterni e le zone più chiuse, fino ai curati suoni delle tempeste o effetti climatologici presenti per tutto il gioco. Ovviamente, e come al solito nei giochi Ubisoft, il gioco arriva tradotto e doppiato nella nostra lingua.