SpellForce è tornato, e noi abbiamo provato il nuovo SpellForce 3, ecco a voi le nostre impressioni del terzo capitolo della veterana serie!
La serie Spellforce nacque nel lontano 2003 con il primo capitolo “SpellForce: The Order of Dawn”, seguito poi nei due anni successivi dalle espansioni “Breath of Winter” e “Shadow of the Phoenix”. Dopo il discreto successo ottenuto, nel 2006 venne rilasciato “Spellforce 2 Shadow Wars”, anche stavolta seguito da due espansioni, Dragon Storm e, a ben 6 anni di distanza dall’uscita del gioco base, Faith in Destiny, del 2012.
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La caratteristica principale di questi titoli era, e come si vedrà è rimasta, il connubio fra strategia in tempo reale con elementi gestionali, e RPG d’azione. Tale accostamento venne recepito in maniera piuttosto entusiastica dal pubblico dell’epoca, forse meno incline a giudicare con occhio sospettoso nuovi tentativi di sperimentazione. Di certo non ebbe un successo tale da entrare nell’olimpo delle serie più amate, ma fu comunque in grado di ritagliarsi una discreta porzione di affezionati. Nel dicembre 2017 è finalmente uscito il tanto atteso terzo capitolo della serie, sviluppato dalla Grimlore Games e prodotto dalla THQ Nordic. Ancora una volta le meccaniche si articolano fra rts e rpg, e ancora una volta giocandolo ci troviamo a combattere nel più fantasy dei tipici scenari fantasy.
Quanto alla trama di SpellForce 3, gli eventi si verificano nell’universo di Eo a partire dall’anno 518, prima della Convocazione, vicenda centrale nella lore della serie, quindi avremo a che fare con un prequel dei due capitoli già usciti. Un potentissimo mago rinnegato ha dato il via ad una rivoluzione contro la corona, istigando le quattro casate nobiliari a spodestare la regina di Northander. La guerra che ne ha seguito, conclusasi con la vittoria delle forze regie, è stata però di tale violenza da lasciare il regno in macerie, e da far sprofondare la regina in uno stato di coma profondo. Con la corona temporaneamente vacante, a guidare il paese è l’autorità ferrea del Lord Maresciallo, che fatica nel tenere uniti i pezzi di un regno al collasso.
A complicare le cose si aggiunge il bando contro l’utilizzo di ogni forma di magia, ed il fatto che andremo ad incarnare come protagonista il figlio di un ex mago ribelle (che potremo personalizzare subito dopo aver concluso la fase introduttiva), il quale, a differenza del padre, ha deciso di rimanere fedele alla corona. Spetterà a lui decidere le sorti del paese dilaniato.
Parlando del setting, le avventure in SpellForce 3 si svolgono come detto in una delle ambientazioni fantasy più classiche immaginabili. Non che sia brutta intendiamoci, anzi, gli sviluppatori della Grimlore Games hanno fatto un ottimo lavoro quanto al lato tecnico della grafica, con scenari estremamente vari e ricchi di particolari, tanto da gravare in molte occasioni sulle gpu meno potenti se si sceglie di tenere alte le impostazioni. Lo stesso level design beneficia di tale ricchezza dando modo agli eroi di esplorare la mappa in cerca di tesori e punti strategici, fornendo la possibilità di costruire avamposti e andando oltre il classico nucleo di edifici, costruito intorno al centro di comando e che si espande tutt’intorno rimanendo un blocco più o meno compatto, similmente a come accade nella maggior parte degli rts con elementi gestionali stile Age of Empires. Il lato negativo riguarda piuttosto la mancanza di originalità, foreste buie, antichi templi in rovina, paesaggi belli ma già visti. Dopo le esperienze regalateci da titoli come il nuovo Torment, o anche Divinity Original Sin, pieni di mappe con strutture immaginifiche da sogno, semplici montagne, deserti o antichi castelli non bastano ad impressionare.
Quanto alle meccaniche, SpellForce 3 riprende il sistema dei titoli precedenti, con l’importante differenza determinata dall’assenza dei portali. Fondamentalmente si divide in momenti nei quali applicare un bilanciamento fra raccolta delle numerose risorse necessarie alla costruzione di nuovi edifici e al reclutamento / addestramento di truppe, nonché al loro mantenimento, e gestione delle truppe stesse al fine di sconfiggere quelle nemiche, e momenti più “action” che fanno risaltare la componente rpg degli eroi. Questi svolgono un ruolo fondamentale nel sistema di gioco, e sono in grado da soli di ribaltare le sorti di numerose battaglie. Purtroppo, a difficoltà medie, lasciano poco spazio alla strategia, il combattimento si risolve in un uso accorto degli eroi contro le unità semplici nemiche, e un successivo attacco in massa di tutta la fanteria disponibile (e in certi casi cavalleria) per uccidere le unità speciali. A causa di ciò risulta necessario giocarlo selezionando difficoltà più elevate, solo così diventa possibile sfruttare le varie combinazioni di resistenze e debolezze, gli oggetti speciali trovati nelle fasi di esplorazione e la capacità di organizzare le posizioni di attacco delle truppe, aspetti che altrimenti risulterebbero inutili e finirebbero col rimanere trascurati. Avremo a disposizione tre razze con le quali combattere, ognuna, come di consueto, caratterizzata dalle proprie unità speciali, umani, orchi ed elfi, e ognuna con propri differenti punti di forza e debolezza. Purtroppo, anche nella vastità delle ambientazioni, il gameplay a lungo andare risulta monotono, sarà inevitabile, perché oggettivamente più efficace, ripetere continuamente le stesse strategie.
Un aspetto positivo del gioco è senza dubbio il comparto narrativo, i doppiaggi degli attori, anche nell’assenza di una versione italiana, sono convincenti e professionali, capaci di trasmettere il carattere del personaggio e le emozioni che prova sul momento. Qualità che si riflette nella sceneggiatura e nello scambio di battute fra gli interpreti del gioco. Il punto di partenza della trama come detto è piuttosto classico, niente di rivoluzionario, con qualcosa di simile alla leggenda di Re Artù o alcune storie dell’universo Dungeons & Dragons, ma offre interessanti spunti di evoluzione man mano che prosegue.
Tutto sommato è un titolo che si fa apprezzare. Di certo grazie alla lunghezza della campagna e alla presenza di schermaglie single player, nonché opzioni multiplayer, ripaga ampiamente i soldi spesi per acquistarlo, ma non fa gridare al capolavoro. È come un buon libro, scorrevole ma incapace d’imprimere sensazioni memorabili.
La versione finale comprende una traduzione scritta dei testi in italiano.